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Dall’alto di un colle tra ruderi romani e ricordi
di Giovanna Paolin
Sulla sommità del colle di San Giusto, accanto alle rovine della città ro-
mana e ai massicci bastioni del castello, si erge compatta la mole della
chiesa cattedrale, affiancata dal semplice battistero e dall’antica chiesa
cimiteriale. È una costruzione nata dall’unione avvenuta nel Trecento
di più edifici sacri, con una fusione che non ha cancellato, probabilmen-
te per ragioni di economia, le diversità stilistiche. Casualità questa che
sembra ben sposarsi a considerazioni assai diverse. Con quella trasfor-
mazione epocale della struttura infatti la città sembrò porre un proprio
segno orgoglioso. La prima nobile dedicazione del tempio a Santa Maria
Maggiore venne cancellata in favore di un santo locale come Giusto,
simbolo nobilitante di romana antichità, il cui culto si accompagnava
a quello di un soldato martirizzato nella lontana Siria come Sergio, la
cui alabarda divenne un elemento araldico cittadino. A san Giusto era
dedicata l’antica chiesetta, con un’abside ornata di bei mosaici, che ora
forma la navata di destra.
All’altare antico della Vergine, con un bel mosaico di pregio, rimase per
secoli legata una confraternita di sole donne, un tipo di associazione
quanto mai raro, che accoglieva nobili e plebee, unite da un forte legame
di solidarietà reciproca. Sull’altar maggiore, che oggi appare totalmente
ristrutturato nel Novecento, ancora ai primi del Seicento durante le ce-
lebrazioni solenni sedevano negli stalli del coro i maggiorenti della città
con le loro mogli, e fu una lotta davvero aspra quella sostenuta da un
vescovo per cambiare quest’uso e per obbligare il Comune a rinunciare
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