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Introduzione
Dalla tolleranza all’inclusione
di Giovanna Paolin
La parola “tolleranza” oggi è vista giustamente con sospetto. Tolle-
ranza infatti significa accettare qualcuno o qualcosa, ma quasi come
un peso da tollerare, appunto, non comprendendo per contro la scelta
di riconoscere all’altro parità e piena dignità, la via cioè dell’inclusione.
È comunque un termine che ha una nobile tradizione ideologica. Nella
prima età moderna l’Europa si trovò dilaniata dalle lotte politiche e re-
ligiose, con persecuzioni dolorose messe in atto equamente dai diversi
schieramenti ma facilmente identificate dalla voce popolare con la sola
storia delle Inquisizioni cattoliche, prima quella medievale, poi quelle
iberiche e quella romana. Non fu facile il compito di quei pensatori che
fin dal Cinquecento, per citare solo Erasmo da Rotterdam e Sebastiano
Castellione, tentarono di aprire un dibattito sul concetto di tolleranza,
di quanti come Montaigne meditarono sulla relatività delle differenze.
Fu il solo sovrano di Ungheria Giovanni II a raccogliere questa sfida, fino
a promulgare nel 1568 un editto di tolleranza contro le discriminazioni
religiose, mentre la Pacificazione di Augusta (1555), l’Editto di Nantes
(1598), o la pace di Vestfalia (1648), ebbero una valenza ideologica as-
sai più limitata. Il viaggio dei puritani Padri Pellegrini (1620) alla ricerca
di una nuova terra di libertà sembra una buona immagine di quanto
l’Europa faticasse ad accettare nel suo seno le diversità ideologiche. Lo
sviluppo del pensiero però, in particolare dal pieno Seicento, avviò gra-
dualmente la scoperta di modelli nuovi e la stagione poi dell’Illuminismo
seppe, nelle sue diverse anime, dare frutti straordinari, pensatori come
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