IL COLLE DI SAN GIUSTO

di Fabio Todero

Il Colle di San Giusto – il nome del Santo patrono di Trieste – è senza dubbio il simbolo per antonomasia della comunità e della storia cittadina: sulle sue pendici era cresciuta la città romana – vi sorgevano la basilica e il foro – e intorno ad esso si abbarbicava la città medievale. Qui i triestini eressero la propria cattedrale e qui venne costruito il solido quattrocentesco castello, simbolo del potere asburgico. Assurto a simbolo della città «irredenta» nella propaganda interventista e poi bellica, dalla torre campanaria della cattedrale di San Giusto il 30 ottobre 1918 sventolò un tricolore che, al suono delle campane risparmiate dalle requisizioni, celebrava la fine della lunga e gloriosa storia del governo asburgico della città. Il 4 novembre, un giorno dopo l’arrivo delle truppe italiane, su un altare eretto sul sagrato della cattedrale si svolse una solenne cerimonia di consacrazione delle armi, mentre nella torre campanaria fu dispiegato un altro tricolore, cucito segretamente da alcune donne triestine. Nei travagliato periodo dell’immediato dopoguerra il Colle fu il teatro di diverse cerimonie militari di commemorazione e di conferimenti di onorificenze ma anche luogo di dolore: negli ambienti angusti e malsani del castello furono infatti rinchiusi i soldati austriaci di rientro dal fronte, da caserme e depositi dell’esercito austroungarico dopo la catastrofe finale delle armate imperiali; tra loro vi erano numerosi soldati giuliani, per un centinaio dei quali la prigionia si protrasse fino al 1920, mentre già si presentava il problema degli ex prigionieri adriatici in Russia di ritorno in patria dopo lunghe peripezie. Il Colle andava intanto trasformandosi nel luogo per eccellenza della memoria cittadina della Grande guerra. Il 24 maggio 1921 vi fu celebrato il rito dell’infiorata – l’avvenimento fu immortalato dal pittore Ugo Flumiani – in memoria dei caduti sul Carso: sulla colonna che reca sulla sommità il cosiddetto «melone», simbolo della città, fu depositata una tale quantità di fiori da formare un’autentica piramide floreale. Un anno dopo, a perenne memoria, veniva affissa sulla facciata del campanile antistante il piazzale una lapide con il testo del Bollettino della Vittoria firmato dal generale Armando Diaz. Nel maggio di quell’anno un nuovo avvenimento consacrava il legame tra San Giusto e la memoria del conflitto: sul Colle fu recata la bara contenente le spoglie di Enrico Toti, accompagnata da un corteo che le cronache dell’epoca definirono «interminabile». Riesumata dal cimitero di Monfalcone e destinata alla sepoltura a Roma, la salma fu vegliata in Cattedrale da drappelli di bersaglieri, combattenti e giovani cattolici; lo stesso Toti, secondo la testimonianza del padre, aveva vagheggiato di poter raggiungere il colle dopo il congiungimento all’Italia di Trieste.
Il 24 maggio 1925 un nuovo imponente corteo, caratterizzato dalla presenza di manipoli della Milizia fascista, raggiungeva il Colle per inaugurarvi il Parco della rimembranza, rendendo omaggio innanzitutto all’albero dedicato a Guglielmo Oberdan. Sorti in tutta la penisola su idea di Dario Lupi, sottosegretario alla Pubblica Istruzione, ai Parchi della rimembranza e agli alberi che vi sarebbero stati piantati era stata affidata la memoria dei caduti della Grande guerra. Quello di Trieste è oggi ripartito in campi numerati dall’1 al 26, che ospitano lapidi e pietre carsiche sulle quali sono scolpiti i nomi dei caduti. I campi dedicati alla Prima guerra mondiale sono quelli numerati dal 16 al 25. In quello stesso 1925 lo scultore Attilio Selva (1888-1970), volontario di guerra e quindi uno dei fondatori del fascio di Trieste, presentava alle autorità comunali il bozzetto di un monumento ai caduti della Grande guerra per la cui collocazione fu scelto due anni dopo – inizialmente si era pensato al cimitero di Sant’Anna – proprio il Colle di San Giusto. Iniziarono così imponenti lavori di risistemazione dell’area, dichiarata zona archeologica dopo l’annessione all’Italia, che portarono intanto all’apertura della via Capitolina, unico accesso automobilistico al sito. Il 3 novembre 1929, il Duca d’Aosta inaugurò l’Ara della III armata da lui comandata durante la Grande guerra, opera dell’architetto Carlo Polli (1894-1931). La mole quadrangolare dell’Ara sorge su un piedistallo di pietra grigia e sui suoi riquadri di pietra bianca sono riprodotte due panoplie, di chiara impronta neoclassica, fatte di mitragliatrici e di fucili che stilizzano «le armi dei moderni eserciti», insieme a due scudi. Sui quattro lati del monumento è riprodotta la seguente epigrafe: «La vittoriose armi qui consacrò la III Armata al comando di Emanuele Filiberto di Savoia». Alcuni semplici tratti forniscono sommarie indicazioni sui campi di battaglia – dall’Isonzo al Piave – dove l’unità era stata impegnata agli ordini di Emanuele Filiberto di Savoia. Finalmente, il 1° settembre 1935, alla presenza del re d’Italia Vittorio Emanuele III e di diversi esponenti del fascismo, tra i quali Giuseppe Cobolli Gigli Costanzo ciano, Luigi Federzoni e Carlo Delcroix, grande mutilato di guerra, fu inaugurato l’imponente monumento ai caduti della Grande guerra di Attilio Selva. Esso rappresenta tre guerrieri che sostengono un loro compagno caduto, protetti da una quarta figura; alte più di cinque metri, le statue, dalle forme classicheggianti, si erigono su di un basamento in pietra bianca d’Istria, progettata dall’architetto Enrico Del Nebbio, autore tra l’altro del Foro Italico a Roma. A poca distanza l’una dall’altra, ma ben diverse nella mole, vanno ricordate ancora due lapidi affisse ai bastioni del Castello; la prima è dedicata ai volontari irredenti caduti, che era andata parzialmente distrutta durante il bombardamento alleato del 10 giugno 1944; l’altra, di ben più modeste dimensioni, collocata il 12 maggio 1996, ricorda invece i caduti triestini nelle file dell’esercito austroungarico durante la Prima guerra mondiale. La lapide, caratterizzata dallo stemma della Mitteleuropa e dalla croce di ferro germanica, e sulla quale campeggia il motto imperiale «Viribus Unitis», reca un testo «Ai caduti triestini guerra 1914-1918» davvero troppo laconico per onorare quanti, partiti da questa città e da queste terre, perdettero la loro vita combattendo nelle file dell’esercito austroungarico. Allo stesso tempo, tuttavia, questa piccola targa ne costituisce a tutt’oggi l’unico ricordo.