IL COMPRENSORIO DI SAN GIOVANNI DI DUINO

di Fabio Todero

Percorrendo la strada statale 14 che conduce a Monfalcone, al bivio con la strada regionale 55 – la strada del Vallone che conduce a Gorizia – ci si imbatte nella località di San Giovanni di Duino, Štivan  in sloveno, posta al limite del territorio della provincia di Trieste. Al bivio, sulla destra, lasciandosi alle spalle Trieste, vi si notano un’ara e una chiesa; sulla sinistra, alla base e sulla sommità di un roccione carsico, un insieme di monumenti. Tutti questi manufatti, qui collocati in momenti diversi, ricordano la Grande guerra e il paesaggio brullo delle colline carsiche suggeriscono ancora oggi la durezza degli scontri che anche qui si svolsero fino all’autunno del 1917 quando, con la rotta di Caporetto, il conflitto si allontanò dall’altipiano carsico e dal territorio regionale. Proprio in questa zona si dipanarono drammatici fatti d’arme come ad esempio la cosiddetta battaglia del Timavo (maggio 1917) – qui infatti si trovano le foci del fiume carsico – o la battaglia di Flondar, sanguinoso contrattacco sferrato da reparti scelti austroungarici contro le posizioni italiane poste intorno a monte Hermada. A ricordarci questi eventi e questi reparti sono i due monumenti collocati alla base e sulla sommità del roccione carsico – il cosiddetto «roccione di Randaccio» – che domina la strada statale e alla base del quale, nel 1930, in occasione del bimillenario virgiliano, l’architetto triestino Arduino Berlam vi aveva fatto incidere i versi dell’Eneide in cui viene citato il Timavo. Il primo di essi è il monumento ai «Lupi di Toscana», soprannome della brigata Toscana, 77° e 78° rgt. Fanteria, che nel 1916 si era reso protagonista della conquista di monte Sabotino. Esso si erge a poca distanza dal Monte Hermada (v.), punto più meridionale del fronte carsico raggiunto dalle truppe italiane durante la Prima guerra mondiale. Qui la brigata Toscana era giunta nella primavera del 1917 per sostenere la brigata Trapani impegnata nella Decima battaglia dell'Isonzo. Un primo monumento, realizzato dal prof. Borgiani dell’accademia di Brera, era stato eretto nel 1938. Nel maggio del 1945, durante i quaranta giorni dell’occupazione jugoslava di Trieste, il monumento venne distrutto finché, per iniziativa del’Associazione Lupi di Toscana di Brescia, un nuovo gruppo bronzeo venne fuso nella città lombarda a opera dello scultore Righetti: un lupo ulula al branco, mentre l’altro si abbassa in agguato per tenere a bada i nemici. L’inaugurazione di questa nuova opera avvenne il 3 novembre 1951, quando la questione di Trieste era ancora largamente aperta, durante una solenne cerimonia, occasione per sottolineare i legami sussistenti tra la città giuliana e l’Italia, consacrati dai sacrifici compiuti durante la Grande guerra. Nella stessa occasione, fu restaurata e riconsacrata l’antica chiesa dedicata a San Giovanni Battista che per cinque secoli aveva conservato reliquie del Battista e che era andata distrutta durante il primo conflitto mondiale.
Il secondo monumento, a lato della rupe, è il cippo dedicato al maggiore Giovanni Randaccio, comandante del 2° battaglione del 77° rgt. fanteria, caduto in un sito prossimo a San Giovanni di Duino – quota 28, recentemente individuato da alcuni ricercatori – il 28 maggio 1917, durante la Decima battaglia dell'Isonzo. Gabriele D'Annunzio, che era stato con Randaccio e con i Lupi sul Veliki e il Faiti, partecipò e ideò l'azione finalizzata al passaggio del Timavo e all’occupazione di quota 28: l’intento era quello di raggiungere il castello di Duino per issarvi un tricolore che si sarebbe potuto vedere da Trieste. Con la sua colonna, il trentatreenne maggiore Randaccio raggiunse la quota, ma fu colpito all’inguine in seguito a un contrattacco nemico. Intanto si consumava la tragedia dei fanti del 149° rgt. della brigata Trapani che, presi dal panico, si arresero o cercavano di retrocedere e sui quali D’Annunzio avrebbe ordinato di fare fuoco. Questi posò quindi la testa del comandante Randaccio, riportato ancora ferito tra le linee italiane, sulla bandiera tricolore in seguito utilizzata come simbolo nel corso della spedizione di Fiume. Il cimelio è oggi conservato al Vittoriale di Gardone mentre Giovanni Randaccio, inizialmente inumato nel cimitero di Monfalcone, riposa nel Cimitero degli Eroi di Aquileia. Il piccolo monumento invece era stato originariamente collocato nel punto in cui era caduto Randaccio. Sulla destra della strada, per chi provenga da Trieste, si trova invece l’Ara ricordo della III armata, posta all’inizio della strada del Vallone che avrebbe dovuto diventare una «via sacra» destinata ad unire questo luogo alla città di Gorizia. «Rispettate il campo della gloria e dell’onore» è l’ammonizione che si legge sul monumento realizzato dal Corpo automobilistico dell’esercito.