LE RIVE

di Fabio Todero

Le rive, il tratto di strada compreso tra i moli del Porto nuovo (il Porto vecchio di oggi) e quello della Lanterna, sono state e continuano ad essere uno dei luoghi più frequentati dai triestini per le loro passeggiate. Lo spettacolo che se ne può ammirare è in effetti straordinario tanto nelle giornate invernali, rese limpide dalla bora, quando all’orizzonte si staglia il profilo delle montagne, quanto d’estate, quando vi si può apprezzare la frescura della brezza che spira dal mare. Splendidamente cantate da Scipio Slataper come luogo di lavoro e di amore, le rive furono allargate dalle autorità cittadine tra il 1906 e il 1919; a percorrerle era una linea ferroviaria ferroviaria che congiungeva i due porti cittadini. Pochi anni dopo queste innovazioni, esse furono involontarie testimoni di eventi che avrebbero cambiato per sempre il destino della città e di queste terre. Tutto ebbe inizio nella serata del 1° luglio 1914, quando in porto attraccò una piccola flotta di navi da battaglia dell’imperial regia marina accompagnate da alcune altre unità. Vi era, tra quelle navi, la corazzata «Viribus Unitis», sulla quale giacevano le bare dell’arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono d’Austria Ungheria, e della consorte Sofia Chotek, assassinati a Sarajevo il 28 di giugno. Con un rito macabro e lento, nella mattina del 2 luglio, da una maona vennero sbarcati i due sarcofaghi, successivamente issati sui catafalchi posti sul tratto delle rive antistante Piazza Grande – oggi piazza Unità d’Italia –; dopo la benedizione impartita alle salme dal vescovo di Trieste, monsignor Andrea Karlin, un imponente corteo si mosse attraverso una città parata a lutto, tra una folla carica d’ansia per un futuro che si presentava denso di ombre e che tale si sarebbe rivelato alla fine di quel mese drammatico. Infatti, allo scoppio della guerra, da Trieste come dalle altre località del Litorale austriaco e dell’Impero, partirono in migliaia per combattere nelle file dell’esercito austroungarico sul lontano fronte della Galizia e su quello dei Balcani. Con l’ingresso nel confitto dell’Italia, avvenuto nel maggio 1915, la guerra si avvicinò. Essa poteva essere ascoltata e vista dalle rive cittadine: sul golfo infatti si compivano le evoluzioni dell’asso dell’aviazione asburgica Goffredo de Banfield, «l’aquila di Trieste», che a bordo del suo idrovolante duellava in aspri combattimenti con gli aerei italiani che spesso si affacciavano sulla città, recandovi talora la morte. A fare la sua comparsa nel cielo del golfo fu anche Gabriele D’Annunzio, che il 22 agosto del ’15 lasciò cadere sul capoluogo alcune bombe, bandierine tricolori e messaggi di propaganda patriottica. E la guerra che si svolgeva sul non lontano altipiano carsico, con i suoi bagliori e i suoni delle artiglierie che dalle rive potevano essere colti con nitidezza, divenne uno spettacolo tanto affascinante quanto terribile, perché foriero di morte e distruzione. Il 3 novembre 1918, finalmente, accolta da una grande folla esasperata da oltre quattro anni di guerra, vi giunse una squadriglia della marina militare italiana che, gettate le ancore al molo San Carlo – il Molo Audace di oggi, nome del primo cacciatorpediniere che vi attraccò –, vi sbarcò un reparto di bersaglieri e, soprattutto, il generale Carlo Petitti di Roreto che assunse il governatorato militare della Venezia Giulia. A ricordare questi ed altri avvenimenti sono oggi alcuni monumenti, a partire dalla rosa dei venti collocata sulla punta del molo, caratterizzata da un’iscrizione opera di Silvio Benco.
Sulla Scala reale della riva Caduti per l’italianità di Trieste, si trova il monumento dei «Bersaglieri e delle Ragazze di Trieste». Opera dello scultore todino Fiorenzo Bacci, il gruppo bronzeo raffigura tre ragazze triestine intente a cucire il tricolore che primo sarebbe sventolato dal campanile di San Giusto il 30 ottobre 1918; dalla Scala reale si staglia invece la figura di un bersagliere recante un tricolore. L’opera è stata inaugurata in occasione del cinquantesimo anniversario del ritorno dell’amministrazione italiana a Trieste, avvenuto il 26 ottobre 1954, quando le rive si riempirono di una folla festante per la conclusione del lungo e problematico secondo dopoguerra giuliano. Sul lato di piazza Unità che guarda al mare – un tempo chiuso da un giardino – vi sono invece i due pili di tradizione veneta, alti oltre 30 metri, inaugurati il 24 maggio 1933 alla presenza del duca d'Aosta Amedeo di Savoia e delle più alte autorità cittadine, in occasione dell’adunata nazionale degli Autieri. Il bozzetto della parte scultorea, che rappresenta 4 autieri, fu elaborato da Attilio Selva. Infine, proseguendo la passeggiata in direzione della Lanterna e della vecchia stazione di Campo Marzio, davanti alla Stazione Marittima, sulla quale una lapide ricorda lo sbarco dei bersaglieri, è stata collocata la statua in bronzo di Tristano Alberti che ricorda il marinaio capodistriano Nazario Sauro, volontario irredento giustiziato dagli austriaci a Pola il 10 agosto 1916 e inaugurata in occasione del 50° anniversario dell’avvenimento.