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nell’elenco delle chiese chiuse nel 1784 dal governo, e si aggiudicarono
l’antico edificio di rilevante valore storico offrendo la somma di 2.120
fiorini. Quasi un anno dovette trascorre, tuttavia, prima che il governa-
tore Pompeo Brigido, ratificasse il contratto di compravendita, a motivo
dell’opposizione alla cessione della chiesa ai protestanti da parte cat-
tolica, che la riteneva troppo vicina alla chiesa di S. Maria Maggiore e
quindi possibile fonte di “disturbo”. Tali resistenze furono superate con
un compromesso: la chiusura del portale principale di ingresso sotto il
campanile e l’apertura di un nuovo ingresso sulla facciata principale,
sotto il rosone. Dopo costosi lavori di restauro, la nuova chiesa della
comunità elvetica, dedicata a Cristo Salvatore, venne solennemente
inaugurata il 2 ottobre 1786.
Nel corso del XIX secolo, con la crescita dell’emporio, anche la comunità
elvetica triestina si consolidò, acquisendo nuovi membri provenienti sia
dai territori dell’Impero che da altri paesi, ma soprattutto a partire dagli
anni Trenta, dalla Svizzera di lingua tedesca, con numerosi imprenditori
e uomini d’affari che caratterizzarono sempre più in senso germanico la
comunità, per l’uso della lingua, modificandone altresì la connotazione
sociale.
La comunità triestina, che dipendeva organizzativamente dalla So-
praintendenza di Confessione Elvetica di Vienna, venne ovviamente
a trovarsi in difficoltà in seguito alla Grande Guerra ed all’ingresso di
Trieste e della Venezia Giulia nel Regno d’Italia. Il rischio di un suo cre-
scente isolamento venne ben presto superato, tuttavia, nel 1926 me-
diante una Convenzione con un altra comunità evangelica italiana che
si era costituita in città alla fine della guerra, quella valdese. La confes-
sione di fede di quest’ultima ricalca sostanzialmente quella calvinista
accolta dal Sinodo di La Rochelle nel 1571, a sua volta molto vicina alla
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