Il Parco di San Giovanni.
Esiste un luogo dove è possibile l’utopia?

di Giovanna Del Giudice

Il Parco si sviluppa su una collina nel quartiere di San Giovanni per un’area di 22 ettari. Lo attraversa una strada provinciale che mette in connessione veloce il quartiere con la strada che porta verso il Carso; da qualche anno sale la collina anche un piccolo bus della linea 12.
Si arriva al Parco, dal basso, con la linea n. 6. Si scende alla fermata dopo la rotonda del Boschetto e si prosegue a piedi, in salita, svoltando nella prima strada a sinistra, in via S. Cilino. Di fronte un cancello aperto, in continuazione con le vecchie mura del manicomio.
Entrati, a fianco di un grande vaso rosso, una mappa dell’aerea con l’attuale destinazione dei quaranta edifici. Sullo sfondo tre archi murati, all’interno dei quali fino agli anni settanta c’erano i portinai, a gestire le entrate e le uscite delle persone nel e dal manicomio.
Oggi l’area, pezzo pulsante ed inclusivo della città di Trieste, ospita una serie di realtà gestite dalla Provincia, dal Comune, dall’Azienda per i Servizi Sanitari e dall’Università ed è attraversata ed usata da persone di ogni età e di ogni appartenenza sociale.
Nell’agosto del 1971, quando Franco Basaglia prendeva la direzione dell’Ospedale psichiatrico di Trieste, quel Parco era muto, ordinato, chiuso, non attraversato. Ornava l’Ospedale quasi a nascondere la violenza di quel luogo, spazio di esclusione e di emarginazione, dove era scaricata la miseria, la diversità, il brutto che la città non poteva e voleva riconoscere. Il magnifico frenocomio, costruito dall’architetto Lodovico Braidotti sul modello dello Steinhof di Vienna, non a corpo unico ma composto da numerosi reparti, imponente e bellissimo, viene aperto nel 1908.
Nell’agosto del 1971 erano internati 1186 uomini e donne, la maggior parte in regime coatto, privati dei diritti civili e politici; pure un reparto per le bambine e i bambini. Nella parte bassa del Parco trovavano posto i padiglioni dei cronici, gestiti dall’ospedale generale, la villa paganti per pazienti psichiatrici e il reparto neurologico. Poi una piazza con l’imponente edificio della Direzione da cui partiva un ampio viale sui cui lati si dispiegano i reparti -a destra quelli maschili e a sinistra quelli femminili, circondati da recinzioni, con le sbarre alle finestre e le reti a chiudere le verande- rappresentazione della carriera del malato nell’istituto e del sapere classificatorio della psichiatria: l’“accettazione”, l’”osservazione”, il reparto “sudici”, “agitati”, le infermerie. Una grande scalinata porta alla parte più alta della collina. Dopo una grande curva i servizi generali: le cucine, la lavanderia, la centrale caldaie, il teatro… e poi i reparti dei “tranquilli” ed intorno alla chiesa le “casette” dei lavoratori, ovvero di pazienti che in nome dell’ergoterapia lavorano nei servizi generali dell’ospedale psichiatrico, nella campagna, puliscono i reparti….. in cambio di un pacchetto di sigarette alla settimana e di piccoli privilegi. Infine la cappella mortuaria e il portone alto. Ogni reparto è designato con una lettera dell’alfabeto. Basaglia e la sua equipe lavorano fin da subito nella prospettiva di chiudere il manicomio e di restituire i diritti agli internati, per la loro entrata nel contratto sociale e per la fine di uno statuto speciale per il malato di mente. Si mette fine alle pratiche coercitive, si abbattono le reti, si aprono le porte nei reparti, le assemblee quotidiane nei reparti restituiscono voce agli/lle internati/e. Nel dicembre 1972 si costituisce la prima cooperativa di lavoro con i pazienti “lavoratori”, si organizzano gruppi di convivenza nell’ospedale e nella città di pazienti “liberati” dai reparti, si costruiscono laboratori artistici, si apre l’ospedale alla città. Dal 1980 Trieste è una città senza manicomio e quello spazio e il Parco è stato restituito alla città. Nel territorio provinciale sono funzionanti i Centri di Salute Mentale sulle 24 ore per la risposta alla domande di salute mentale del territorio e quale alternativa al circuito manicomiale. Oggi salendo lungo il viale principale, costeggiato di aiuole e cespugli nella stagione fioriti di tulipani, crochi e narcisi, si incontra (vengono nominati solo i padiglioni che si incontrano lungo la strada, gli altri posti nelle strade laterali, possono essere ricercati seguendo le indicazioni della mappa): una sede dell’Azienda Sanitaria, un Distretto sanitario, il Dipartimento delle Dipendenze, due istituti tecnici sloveni, le sedi del Dipartimenti di Matematica e Geoscienze, un Centro diurno per disabili, il Dipartimento di salute mentale (Dsm). Dopo la curva in alto i servizi generali ed alcuni padiglioni da ristrutturare, poi la sede del Servizio di riabilitazione del Dsm e delle cooperative sociali, il Museo Nazionale dell’Antartide, due piccole e ridenti residenze del Dsm, la cappella mortuaria. Arrivati al portone alto, dove sul muro esterno una volta era scritto in rosso “fora i matti e dentro Basaglia”, si può discendere attraverso un vialetto pedonale che corre a sinistra in alto, parallelo alla strada viabile tra bellissime rose arbustive rifiorenti e ciuffi rigogliosi di graminacee sotto archi ricoperti da rose rampicanti. Continuando a sinistra, lasciandosi di fronte il campanile della chiesa, si scende verso il maestoso roseto dello spazio Rosa, dietro il padiglione H, con circa tremila varietà di rose moderne . Poi verso la piazza della chiesa dove si apre il “Posto delle fragole”, aperto nel 1979 in uno spaccio del manicomio, da una cooperativa sociale. Punto di ristoro per chi vive e lavora a San Giovanni, studenti, operatori, socii delle cooperative, professori universitari, visitatori del dipartimento di salute mentale……ma anche luogo dove si reca chi vuole spazi aperti, liberi e curati, dove sono possibili scambi e contaminazioni. Aperto sempre più fino a tardi man mano che nelle stagioni la luce e il caldo aumentano, accompagna feste, manifestazioni, convegni, ma, su richiesta, prepara buffet, rinfreschi e pranzi. A partire dall’impegno collettivo dei “condomini” del Parco, obbiettivo è la sua costituzione come “distretto culturale evoluto”, spazio di sviluppo socio-economico e culturale. Ma già oggi il luogo “con la sua pratica quotidiana sviluppa un’ideale di integrazione e compartecipazione di risorse umane, culturali e generazionali diverse, racchiudendo, in uno spazio aperto a tutti, attività che spaziano dall’aerea educativa a quella dei servizi alla persona, a quella per l’aggregazione la condivisione di esperienze culturali; attività di partecipazione sociale, inserimento lavorativo e produzione di idee, progetti e utopie” (da Lavori in corso n.4, Il parco di San Giovanni) e costituisce una ricchezza per la città da scoprire e valorizzare.