C’è un luogo nei nostri cuori chiamato strada della memoria: i cimiteri acattolici

di Mauro Vivian

Se ovunque vale la regola che passeggiando in un cimitero e leggendo le epigrafi, le date, i cognomi riportati sulle lapidi e sui monumenti si può riuscire a capire molto di una città e della sua storia, ciò è ancor più vero a Trieste dove, accanto al cimitero cattolico di Sant’Anna, sono presenti quelli delle altre confessioni religiose: la zona si trova un po’ in periferia, ma vale la pena visitarla ed è facilmente raggiungibile con i mezzi pubblici.
Percorrendo la via laterale del cimitero cattolico, via della Pace ci si ritrova tra due file di muri, da cui spuntano le cime dei cipressi, interrotte solo da quattro cancelli che conducono in altrettanti mondi silenziosi: si tratta dei cimiteri serbo, greco, ebraico e dell’ex-cimitero militare; all’angolo, all’inizio della strada, si trova l’ingresso dei cimiteri evangelico e anglicano, mentre alla fine della via una breve discesa conduce al cimitero musulmano.

Il cimitero serbo è il primo in cui ci si imbatte: un frontone con una scritta in cirillico sormonta il cancello; il vialetto d’ingresso bordato di alberi e cespugli di rose conduce alla cappella dedicata a San Giorgio martire col suo piccolo portico.Tra le molte croci in pietra si notano alcune tombe sulle quali sono raffigurate delle ancore che rivelano la vocazione marinara, oltre che commerciale, delle genti slave giunte a Trieste: capitani e armatori hanno trovato qui il loro riposo anche nel secolo successivo. Tra le croci troviamo anche quella del discusso metropolita montenegrino Nikamor Njeguš, uomo di fiducia del principe Danilo del Montenegro, traccia di un legame tra la città e il piccolo regno balcanico: ricordiamo che il successore del principe, il futuro re Nikola I, crebbe a Trieste. Tombe dell’Ottocento si mescolano con quelle più recenti, frutto di un’immigrazione importante e continua, con un flusso notevole dalla zona di Mostar.. A sorpresa troviamo anche la tomba di famiglia del più famoso attore comico che Trieste abbia mai avuto, Angelo Cecchelin. Una tomba importante è quella della famiglia Opuich-Constantinovich e qui riposa l’ultimo discendente della famiglia Obrenović che regnò in Serbia per buona parte del XIX secolo. Mole sono le tombe importanti e sono testimoniate famiglie di grande rilievo, come i Bliznakoff e gli Haggiconsta.

Basta percorrere pochi metri per trovarsi nel cimitero greco-ortodosso, molto simile a quello serbo: entrambi risalgono allo stesso anno, il 1829; anche qui, il vialetto d’ingresso conduce a un’elegante cappella bianca con all’ingresso un piccolo portico con quattro colonne doriche. Su molte tombe le iscrizioni svelano i luoghi di provenienza: il Peloponneso, Smirne ma anche l’Epiro, Mitilene, Salonicco e la Macedonia.
In questo cimitero, accanto ovviamente a tante sepolture modeste, troviamo molti cognomi legati a importanti palazzi del centro, come Carciotti (Kartsiotis), Economo (Oikonomou) e Galati, oppure a eleganti ville, come Haggiconsta; o cognomi di personaggi eminenti come Xydias, o Cumano, medico e filantropo, cui sono intitolate vie cittadine: o ancora, la tomba della famiglia Sofianopoulo, conosciutissima a Trieste, tra i cui componenti si annoverano ancor oggi pittori e direttori d’orchestra; e forse ancor più che nel cimitero serbo abbondano le tombe imponenti, quali quelle della famiglia Afendoùli o del barone Ralli, originario di Chios, o ancora la particolare tomba della famiglia Xydias.

Basta fare pochi passi per uscire dal cancello, attraversare la strada ed entrare in un luogo altrettanto affascinante: si tratta del cimitero ebraico, che risale al 1843.
Un cartello sul cancello invita ad usare la kippah; appena entrati, a destra, si trova l’ossario che raccoglie le spoglie provenienti dall’antico cimitero, un tempo situato nei pressi dell’attuale via del Monte, una ripida stradina che sale dal corso Italia al castello di San Giusto.
Subito si resta stupiti da una splendida tomba di famiglia: un vero e proprio chiostro in stile moresco, all’interno del quale si trovano i sepolcri dei baroni Morpurgo, che si distinsero nel campo dell’imprenditoria e della diplomazia: Giuseppe Lazzaro Morpurgo fu il fondatore delle Assicurazioni Generali; purtroppo, lo splendido sacello è in evidente stato di degrado. Accanto ad esso, altre due importanti tombe: una, in stile neoclassico, è quella della famiglia Morpurgo de Nilma, che ha lasciato alla città una fondazione ancor oggi attiva e l’abitazione oggi adibita a civico museo; l’altra, in stile gotico, è quella della famiglia Ara-Cohen, anch’essa parte dell’imprenditoria cittadina.
Alla fine del vialetto troviamo una fontanella dove lavarsi le mani prima di uscire, come gesto simbolico di purificazione; al centro, troviamo una lapide con incisa una preghiera introduttiva e, accanto ad essa, un contenitore conico che contiene i sassolini da deporre sulle tombe dei defunti, come prevede la tradizione ebraica: non è uso portare fiori ai defunti e, percorrendo gli ombrosi vialetti di questo cimitero, si nota subito che non vi sono né fiori né fotografie. Volgendo lo sguardo a destra prima di iniziare l’esplorazione, due alte steli in pietra bianca elencano i martiri periti nei campi di sterminio tra il 1943 ed il 1945: sono molti i cognomi conosciuti in città.
Poi in un’atmosfera d’altri tempi incontriamo le tombe ottocentesche: tra esse quella di Elio Schmitz, fratello dello scrittore triestino Italo Svevo, morto nel 1886 all’età di soli 23 anni. Sono piuttosto addossate le une alle altre, e l’immagine che danno ricorda quella del cimitero ebraico di Praga; molte sono le steli di tradizione askenazita, in contrapposizione alle lastre di pietra orizzontali di tradizione sefardita: l’alternarsi negli angusti vialetti di steli spesso inclinate, piramidi di pietre, monumenti funebri con stemmi familiari e tombe abbandonate interamente ricoperte di edera lascia un po’disorientati.
Tornando indietro, passato il viale centrale dove si trovano le tombe dei rabbini, seguendo il perimetro del cimitero troviamo per lo più tombe del periodo fine Ottocento – inizio Novecento: molte di esse sono costituite da un obelisco su cui è raffigurato un drappo pendente o un ramo di palma; e anche in questa zona troviamo cognomi conosciuti come Vivante, famiglia di uomini d’affari proprietaria dell’omonimo palazzo neoclassico; e altrettanto si può dire proseguendo più avanti, verso la zona delle sepolture recenti: cognomi di avvocati, imprenditori e professori, conosciuti da chi ha studiato a Trieste, si susseguono sulle tombe più moderne sulle quali è spesso raffigurata una menorah. Una scaletta in pietra riconduce verso il basso da questa zona un po’ rialzata: e man mano che si procede, camminando tra i moltissimi alberi, l’odore dei funghi e il cinguettio dei merli, si ha sempre di più l’impressione di trovarsi in un bosco, più che un cimitero. La stessa impressione si aveva, fino a pochi anni fa, anche addentrandosi in alcune zone del cimitero musulmano, situato al termine di una piccola discesa alla fine della strada; recentemente, la migliore manutenzione ha reso agevole anche l’accesso alla zona delle tombe più antiche. Questo piccolo e seminascosto cimitero si trova in un avvallamento alle spalle del cimitero greco: la sua presenza è rivelata dalla mezzaluna che spunta dall’alto muro di cinta della strada che costeggia il complesso cimiteriale. La sua particolarità è innanzitutto quella di essere l’unico cimitero interamente musulmano in Italia: e anche questa è un’eredità del passato asburgico della città e dei rapporti diplomatici tra l’impero austro-ungarico e quello ottomano. Non è agevole visitarlo poiché, a differenza degli altri cimiteri, non ha un orario fisso di apertura, visto anche l’esiguo numero di sepolture: per accedervi, occorre chiedere le chiavi al Consolato onorario di Turchia in piazza dell’Unità, ma ne vale veramente la pena.
Il cimitero risale al 1849; vi si entra da un portone con arco a ferro di cavallo: all’interno, sulla sinistra, si trova la porta della cappella-depositorio: sopra ad essa, una targa in bronzo forse anteriore all’istituzione del cimitero; sopra l’edificio una cupola con in cima una mezzaluna e, accanto ad esso, un pozzo da cui attingere l’acqua per il lavaggio rituale dei defunti.
Le tombe più antiche, meritevoli di attenzione, si trovano nella parte posteriore del cimitero, a ridosso del muro di cinta. Tre lapidi anonime con grandi spadoni incisi ci suggeriscono la presenza di militari, ma i gioielli di questo luogo sono tre steli del XIX secolo sormontate da turbanti; su ciascuna di esse le figure incise, le iscrizioni turche in caratteri arabi e le tipologie di turbante hanno svelato non solo l’identità dei loro occupanti ma anche il loro status sociale: la prima di esse, del 1845-1846 (l’anno riportato su queste tombe è quello dell’egira e si colloca a cavallo tra due anni dell’era cristiana), è sormontata da un turbante in cui è scolpita una rosa, il che fa supporre che si tratti di un affiliato a una confraternita sufi: si sa inoltre che proveniva da Ulcinj, città costiera del Montenegro; la seconda è datata 1862-1863 e vi è sepolto il comandante di una nave; la terza lapide, con uno spadone inciso a lato, risale al 1874-1875 e appartiene a un militare bosniaco che aveva effettuato il pellegrinaggio alla Mecca: su tutte, l’invito a recitare una fatiha (la prima sura del Corano) per lo spirito del defunto.
Nella stessa zona, vi sono sette lapidi risalenti al periodo della prima guerra mondiale: alcune sono pressoché interamente coperte da licheni e, pertanto, impossibili da decifrare, ma tre di esse sono leggibili e riservano una sorpresa: le scritte in tedesco rivelano i nomi di due soldati bosniaci caduti nel 1917 mentre nell’altra tomba, risalente al 1918, riposa un prigioniero di guerra tartaro dell’esercito russo detenuto in un campo di prigionia in Boemia. Al tempo della prima guerra mondiale, sia Trieste che la Bosnia facevano parte dell’impero asburgico: triestini e musulmani bosniaci erano dunque commilitoni, per cui non vi è nulla di strano nel fatto che i due soldati siano sepolti in questa città.
Le tombe più recenti, oltre che a turchi, albanesi, somali e ad un italiano convertito appartengono, per la maggior parte, a musulmani bosniaci trasferitisi a Trieste dopo la seconda guerra mondiale: alcuni di essi, sospettati di collaborazionismo con gli occupatori nazifascisti, dovettero lasciare la Jugoslavia.

Conclusa la visita del cimitero ottomano, come viene comunemente chiamato il cimitero islamico, ripercorrendo a ritroso via della Pace vale la pena fare una breve visita all’ex cimitero militare, ora civile, adiacente a quello ebraico. Una parte di esso ha mantenuto il suo carattere militare: dal vialetto d’ingresso si imbocca una discesa con alcuni gradini e, volgendo lo sguardo a sinistra, si ha una vera sorpresa, il “british military cemetery”: dietro una siepe, disposte in tre file, ecco trentatrè bianchissime tombe di soldati britannici appartententi a diversi reggimenti e alla polizia militare, deceduti a Trieste dal 1946 al 1954 durante gli anni dell’amministrazione anglo-americana del Territorio Libero di Trieste. Più della metà dei soldati aveva un’età compresa tra il 18 e i 22 anni e vedere tanti ragazzi sepolti assieme suscita una profonda commozione: l’epitaffio su una di queste tombe, “there’s a place in our hearts called memory lane”, c’è un luogo nei nostri cuori chiamato strada della memoria, è davvero appropriato e toccante. Alla fine della discesa, nel campo VI, si trova una curiosità: il 25 aprile 2010, infatti, si è svolta in questo cimitero la cerimonia di inaugurazione dell’obelisco in memoria dei 104 militari sovietici, di cui 36 kazaki, caduti durante la guerra di liberazione di Trieste e della regione dal nazismo; l’obelisco riporta su tre lati la frase “gloria eterna ai caduti nella lotta al nazismo” in italiano, russo e kazako. Accanto ad esso troneggiano altri due obelischi: uno, con la prua di una nave e quattro ancore ai lati, è dedicato ai caduti in mare durante la seconda guerra mondiale; l’altro, come recita la scritta in sloveno, è dedicato ai caduti per la libertà dell’Armata Popolare Jugoslava ed è stato posizionato qui dall’allora Repubblica Federativa Popolare di Jugoslavia per commemorare i propri partigiani di tutte le nazionalità. Dietro a un cespuglio un’altra sorpresa: un monumento funebre con tanto di stella rossa dove, come recita la scritta in russo, italiano e sloveno, riposano 29 soldati sovietici caduti il 2 maggio 1945; sembra davvero una cosa d’altri tempi, ma non è la sola: accanto al muro perimetrale vi sono infatti numerose tombe di ufficiali austroungarici. Questo cimitero risulta essere, alla fine, il più cosmopolita di tutti.
Prima di lasciare il variegato complesso cimiteriale, tornati all’inizio di via della Pace, imboccando la discesa per tornare verso il centro cittadino ci imbattiamo in un grande portone metallico. Basta premere un pulsante perché il portone si apra permettendo di entrare nel cimitero evangelico. Varcato un piccolo atrio appare una salitina in ghiaia bordata di ortensie; sul muro alla sinistra dell‘ingresso è affissa una bella lapide di un commerciante bavarese e della moglie fatta scolpire dal nipote nel 1790, molto prima dell’apertura del cimitero risalente al 1843; già a metà del Settecento, infatti, la comunità evangelica luterana di confessione augustana aveva il proprio cimitero nei pressi dell’attuale e centralissima piazza Goldoni; questo venne poi trasferito nell’attuale via del Monte, dove un fondo adibito a cimitero era usato per metà dagli augustani e per metà dagli elvetici: un po’ più a monte del museo ebraico è ancora visibile l’ingresso murato del vecchio cimitero.
Il cimitero evangelico appare forse meno monumentale degli altri, ma è ugualmente interessante. Si resta colpiti dalla varietà delle provenienze: Berna, Praga, Francoforte, Karlsruhe ed anche Köslin, città della Pomerania. Sulla sommità della collina, in un vialetto a destra, troviamo la tomba di famiglia dei Bois de Chesne, di origine francese poi trasferitisi in Svizzera: Albert Bois de Chesne fu un famoso botanico, vissuto in questa città; e quella degli Hausbrandt, la cui azienda produttrice di caffè sorse a Trieste nel 1892 e oggi esporta caffè in tutto il mondo. Sulla sommità della collina, a sinistra, c’è la tomba del capitano Georg Strudthoff, nato a Brema, grazie al quale prosperarono a Trieste e nella vicina Muggia l’industria meccanica e i cantieri navali; oltre un albero da frutto, si intravede la sagoma della più bella tomba del cimitero evangelico, sormontata da un angelo sorridente: è quella della famiglia Rittmeyer, nella quale riposano il barone ginevrino Carlo de Rittmeyer e la moglie Cecilia, grande benefattrice: una via cittadina e un istituto per non vedenti portano il suo nome. Scendendo verso sinistra, si trovano ancora due tombe delle famiglie Bois de Chesne e Hausbrandt; una lapide anonima scritta in tedesco costituisce una particolarità: si tratta di una tomba provvisoria… dal 1917. In un vialetto parallelo riposa Stanislaus Joyce, fratello dello scrittore irlandese James Joyce che in questa città compose alcuni dei racconti di “Gente di Dublino”. Tra gli ospiti di questo luogo, troviamo anche dei diplomatici, quali Gotthelf Kern, console del Württemberg fino al 1849 e il console dell’Olanda Suringar, morto nel 1921, e anche un pittore: si tratta di Arturo Fittke, tormentato pittore triestino morto suicida.
Nei pressi della tomba della famiglia Fittke, una scaletta conduce alla zona del cimitero anglicano, un piccolo e ordinato triangolo con poche tombe; molte sono le lapidi erette alla memoria di persone sepolte altrove. Tra i personaggi qui sepolti troviamo Sarah Davis, benefattrice inglese che donò alla città una splendida villa; in un angolo, seminascosta, la tomba dell’ingegnere inglese Thomas Holt di Manchester, che aprì in questa città le sue officine Anche questo piccolo cimitero ci riserva una sorpresa: vi si trova infatti la tomba di Achille La Guardia, originario di Cerignola, che sposò l’ebrea triestina Irene Coen Luzzatto: il loro figlio, Fiorello La Guardia, divenne sindaco di New York.