IL COMPRENSORIO DEL MONTE HERMADA
di Roberto Todero
Il Monte Hermada (Ermada o Grmada) oggi noto particolarmente per la sua cima, la Quota 323, è in realtà un insieme di basse colline che con andamento normale alla costa digradano
verso la Slovenia raggiungendo il vallone di Brestovica, profondo ed ampio solco che lo separa dall’altopiano di Komen e dalle quote dello Stari Loqua.
Sede di osservatori e di artiglierie, quello che possiamo chiamare il massiccio dell’Hermada venne direttamente investito con maggior forza ed intenzione nel corso delle ultime due
offensive italiane, la Decima e l’undicesima battaglia dell’Isonzo. Mai infatti le fanterie attaccanti giunsero sulla sua quota principale, fermate dalla precisa reazione
dell’artiglieria schierata nel 1917 tra il vallone di Brestovica e Sistiana-Visogliano. Le quote principali non videro mai gli scontri tra le opposte fanterie; questi avvennero
alle sue pendici in settori di combattimento come quello del Casello Ferroviario nei pressi del Burrone delle caverne o sulla dorsale del Flondar che partendo dal paese di Medja
Vas-Medeazza raggiunge la quota 135 soprastante l’ex valico di Jamiano-Jamlje.
Il monte venne reso invalicabile mediante la creazione di un complesso sistema trincerato che è oggi ancora in gran parte riconoscibile sul terreno: tutto quanto è rimasto – e
non è poco – è originale, risponde alle carte dell’epoca. Si può dire a ragion veduta che la zona del monte Hermada è per il Carso l’unico esempio dove ancora si possono studiare
gli accorgimenti tattici per creare le sacche tra le linee in cui convogliare le ondate avanzanti (Riegelstellung), si possono cercare gli angoli morti studiando le aperture delle
caverne ed il loro orientamento, l’avanzare dei camminamenti (Laufgraben), i ripari. Nelle doline sono ancora ottimamente visibili le tracce degli accampamenti, basse casette di
sasso e legno raramente impreziosite da lapidi nelle varie lingue dell’Impero nei cui pressi si possono ancora leggere – e trovare – i segni di quella che è stata la vita quotidiana
negli anni di guerra per migliaia di uomini. Il Monte Hermada è un unico, grande museo all’aperto; accompagnati da esperti è possibile addentrarsi nelle sue viscere, nelle tante
caverne naturali adattate per l’uso di guerra e capaci di offrire un sicuro ricovero a centinaia di soldati, o nelle ancor più numerose caverne-ricovero scavate nelle trincee e
nelle doline per offrire riparo a una squadra di soldati o poco più.
Pur essendo il monte nel suo insieme un luogo di notevole interesse storico – si pensi che nel primo dopoguerra era stato proposto quale Zona sacra come fatto poi per il Sabotino
o per il San Michele – i lavori di valorizzazione e messa in luce dei manufatti hanno riguardato sinora solamente alcuni settori. Va riconosciuto però che i lavori svolti sono stati
molto complessi e portati avanti da un esiguo numero di volontari. In particolare il settore del Nad Kokem-Monte Cocco è stato fatto oggetto di una ultradecennale campagna di scavi
che ha rimesso in luce le casematte osservatorio dalle quali veniva diretto via telefono il tiro dell’artiglieria; è stato anche disostruito un sistema di gallerie che mettono in
comunicazione le varie casematte, anche se lo stato di questi lavori fa pensare ad un lavoro tardo e mai portato a termine, dati gli avvenimenti legati allo sfondamento di
Plezzo-Tolmino (Bovec-Tolmin), la battaglia di Caporetto (Kobarid). Oggi questi tunnel sono percorribili con molta attenzione e solo nelle stagioni asciutte; alcune infatti si
allagano e l’acqua che vi si raccoglie rimane anche per intere stagioni raggiungendo in alcuni tratti un livello superiore al metro.
Altri lavori sono stati fatti attorno alla vera cime del monte, la quota 323 segnata da un cartello riportante l’altimetria, mentre su di un sasso, fatta con la vernice, si trova
l’indicazione Hermada. Questo anche perché molti ritengono che la cima sia quella dove sino a pochi anni orsono c’era una baracca militare legata al periodo della guerra fredda;
oggi ne rimane solo il basamento in cemento che molti però già confondono con i resti della grande guerra: sovrapposizioni storiche che andrebbero chiarite con tabelle didattiche
messe in loco.
Le escursioni sull’Hermada, anche se fatte per necessità in stagioni fredde, saranno comunque per noi un piacevole diversivo, diversamente da come la pensava il tenente Fritz Weber,
che nel suo Das Ende einer Armee –tradotto in Tappe della disfatta – così si espresse quando la sua batteria venne destinata al Carso: «apro l’ordine sigillato: dobbiamo prender
posizione a Quota 323. C’è solo una quota, che si possa prendere in considerazione, da queste parti, una quota dal nome dolce e nello stesso tempo terrificante: L’Hermada. Ci
guardiamo bene dal parlarne».