I CIMITERI DI S. ANNA E DI SERVOLA

di Fabio Todero

Nel 1825 le autorità municipali triestine, per far fronte alla crescita demografica della città e alle nuove esigenze che questa poneva, individuarono in un’area allora assai poco popolata posta alla periferia meridionale di Trieste, tra i colli di Servola e le pendici di Coloncovez, lo spazio adatto alla realizzazione del nuovo camposanto cittadino, cresciuto poi mano a mano e abbellito di una sua zona monumentale, con il concorso delle più importanti famiglie della città. Negli anni Venti, in uno spiazzo che si apre lungo uno dei viali che conducono alle tombe monumentali, fu individuato il sito nel quale ricavare la cripta destinata ad ospitare le salme dei volontari giuliani caduti. Nella cripta qui realizzata, il 17 giugno 1923, con un’imponente manifestazione di massa che consacrava il culto dei caduti della Venezia Giulia, già collaudato dalla cerimonia del Milite ignoto e dell’ultimo viaggio delle spoglie di Enrico Toti, 37 salme di volontari caduti in diversi settori del fronte, dopo aver attraversato in un imponente corteo la città, vennero inumati insieme ai resti di Guglielmo Oberdan, celebrato quale fratello maggiore dei volontari giuliani. In quello stesso luogo, dove peraltro era stata ipotizzata la costruzione del monumento ai caduti poi collocato a San Giusto, il 26 maggio 1929 fu inaugurata l’Ara dei Caduti del Cimitero di Sant’Anna, opera dell’architetto Carlo Polli (1894-1931), destinata a ricoprire il precedente ossario. Vi riposano i resti di settantadue volontari giuliani, le cui salme erano state traslate in diversi momenti da diversi cimiteri di guerra (quelle di Ezio De Marchi e di Michele Bacchetti provenivano da cimiteri della Macedonia e dell’Albania). Di alcuni, come nel caso di Giuseppe Vidali, furono racchiuse le ceneri. Il monumento, ad indicare un modello di comportamento eroico che richiedeva ai cittadini il sacrificio della vita per la propria patria e, a un tempo, l’onorabilità della morte in guerra, reca l’epigrafe «Come gli eroi di Sparta tornammo sugli scudi». A saldare il ricordo della Grande guerra, al presente dell’Italia fascista e alla tradizione classica, secondo un canone ben consolidato, erano le forme stesse dell’opera, caratterizzata dalla riproduzione di elmi greci, di armi moderne e di aquile imperiali. Collocata a poca distanza dall’Ara dei volontari sorge la tomba di famiglia in cui riposano Carlo (1894-1916) e Giani Stuparich (1891-1961); essa fu realizzata per volontà di Giani dallo scultore triestino Ruggero Rovan  (Trieste, 1877-1965), amico dello scrittore. Essa consiste di un arco in pietra del Carso, la cosiddetta «porta dell’eternità», sul quale sono incisi i nomi di quanti vi riposano; al centro, si trova la grande roccia del monte Cengio a riparo della quale Carlo, sottotenente dei granatieri di Sardegna, circondato con il suo plotone dagli austriaci, si suicidò con un colpo di rivoltella il 30 maggio 1916, nelle convulse giornate della Strafexpedition. Ritrovata dal fratello dopo dolorose ricerche e riconosciuta grazie alle chiavi della cassetta d’ordinanza ritrovata negli abiti, la salma di Carlo fu dapprima sepolta nel cimitero di Tresché Conca, sull’altipiano di Asiago; poi, il 30 maggio 1929, essa fu inumata nel Cimitero di S. Anna dopo che una grande cerimonia funebre ebbe attraversata tutta la città.


Nel cimitero che si trova sulle pendici del colle di Servola, dove sorge un popolare rione allora prevalentemente abitato dalla comunità slovena, una modesta stele ricorda invece i nomi dei nove civili – tra loro 5 bambini – che rimasero vittime del bombardamento italiano del 20 aprile 1916, in una delle numerose incursioni aeree che gli italiani compirono sul cielo di Trieste e che provocarono anche altre perdite; non a caso le autorità luogotenenziali avevano provveduto a diramare alla popolazioni precise disposizioni in caso di bombardamenti nemici. I funerali si svolsero con grande concorso di folla il 23 aprile, in una giornata grigia e piovosa, con la partecipazione di tutte le autorità cittadine; la messa, celebrata nella chiesa di San Lorenzo, fu accompagnata dal suono del Dies irae ma anche dallo straziante dolore dei familiari delle vittime, «inumate per unanime consentimento delle famiglie», come recita una cronaca dell’epoca, in una sola fossa. La stele, pur se priva di più precise informazioni sule circostanze di quelle morti, è anche l'unico monumento a ricordo delle vittime civili della Grande guerra elevato in provincia di Trieste.