La città di Trieste – all’epoca una delle più importanti del vasto Impero austroungarico – fu da subito coinvolta insieme al suo territorio nella tragedia della Grande guerra, scoppiata nella torrida estate del 1914.
La città aveva potuto assistere a un macabro antefatto del conflitto quando, la sera del 1° luglio, nel golfo della città giuliana giunse la squadra navale che scortava le salme di Francesco Ferdinando, erede al trono d’Austria Ungheria e della consorte Sofia, assassinati a Sarajevo il 28 giugno. Il giorno dopo, di primo mattino, in un clima di lutto generalizzato, un corteo funebre accompagnò i feretri delle illustri vittime attraverso la città per raggiungere la stazione della Ferrovia meridionale; da qui sarebbe continuato il loro viaggio per Vienna, dove si sarebbero svolte le esequie ufficiali, e poi per Arstetten, loro ultima dimora. Alcune settimane dopo, il 28 luglio 1914 fu la volta della dichiarazione di guerra dell’Austria alla Serbia, e ben presto il conflitto si allargò alle maggiori potenze del continente. In tutto l’Impero vennero perciò emanati i bandi della mobilitazione generale che investì anche il territorio di Trieste: i suoi uomini furono avviati verso il lontano fronte galiziano e quello balcanico, e sin dai primi giorni di guerra si fecero sentire le conseguenze economiche e sociali del conflitto. Un ulteriore aggravamento della situazione fu determinato dall’entrata in guerra dell’Italia, nel maggio del 1915. L’avvicinarsi delle operazioni militari portò infatti a una più ampia militarizzazione del territorio – ma il porto di Trieste era stato minato già nell’estate del ’14 – e anche il Carso triestino ne subì le conseguenze: la popolazione civile dei villaggi della cintura carsica più prossimi al fronte – come ad esempio Ceroglie o Malchina – dovette abbandonare le proprie case; furono approntate opere di difesa; antichi manufatti furono trasformati in osservatori d’artiglieria; siti un tempo utilizzati da piccole comunità di cacciatori preistorici come la Grotta Azzurra di Samatorza furono riscoperti, in quella prima guerra della modernità, quali improvvisati ospedali: non a caso alcuni storici hanno confrontato le condizioni di vita dei soldati della Grande guerra a quelle degli uomini delle caverne. In quella drammatica primavera del 1915, caratterizzata tra l’altro da moti e proteste, un numero consistente di cittadini del Regno d’Italia abbandonò la città allora ancora austriaca. Sin dall’estate del 1914 un certo numero di giovani – e meno giovani – triestini e giuliani affascinati dall’irredentismo, avevano varcato il confine per arruolarsi volontariamente nelle file dell’esercito italiano. Ciò aprì in diverse famiglie dolorose lacerazioni.
Una consistente zona dell’attuale Provincia di Trieste fu trasformata in un’autentica fortezza naturale come il monte Hermada; contro di essa le truppe italiane furono reiteratamente e inutilmente mandate all’assalto. Altri luoghi come San Giovanni di Duino, dove il Timavo rivede la luce terminando il suo corso in gran parte sotterraneo, assistettero a imprese sanguinose e compiute da soldati dell’una e dell’altra parte: migliaia di vite travolte dall’uragano della prima guerra di massa della storia. Il territorio della Provincia di Trieste ospita numerosi resti di quei drammatici eventi: trincee, camminamenti, cavità naturali e artificiali segnano ancora il paesaggio carsico e costituiscono i muti testimoni di una guerra di posizione aspra e sanguinosa, combattuta in un terreno inospitale e per lo più privo di acqua. Moltissimi sono però anche i segni della memoria della Grande guerra: ne sono testimonianza monumenti, cimiteri, lapidi, istituzioni museali, scuole e ricreatori dedicati a figure di volontari irredenti. Allo stesso tempo però quella memoria, della quale ben presto il fascismo si appropriò, escluse dal ricordo collettivo la realtà delle migliaia e migliaia di figli di questo territorio, italiani e sloveni, che avevano prestato servizio nelle file dell’esercito o della marina asburgici, non di rado senza far ritorno dai fronti o dalle unità sui quali erano stati impiegati.
L’Istituto regionale per la storia del movimento di liberazione nel Friuli Venezia Giulia, grazie a un generoso contributo della Provincia di Trieste, in occasione del centenario dello scoppio della Grande guerra, ha così ritenuto di proporre alcuni dei molti possibili percorsi legati all’irredentismo – inteso come uno dei fattori che formarono parte dei giovani di questo territorio, inducendoli alla scelta del volontariato nelle file dell’esercito italiano – e al primo conflitto mondiale. L’intento è quello di offrire a scolaresche, operatori del mondo dell’informazione, turisti, appassionati e curiosi uno strumento per accostarsi a luoghi che spesso sfuggono all’attenzione o che sono visti con occhi distratti o inconsapevoli. Monumenti, lapidi, cimiteri, caverne o trincee, pur nella loro diversità costituiscono invece altrettanti testimoni di un avvenimento che mutò per sempre le sorti di queste terre e della memoria che ne venne costruita: sono altrettanti luoghi della memoria e punti di sosta di un potenziale grande museo diffuso, capaci di parlare alla nostra intelligenza e alla nostra sensibilità. Luoghi e nomi che rimandano ad altrettante tragedie, passaggi emblematici del faticoso cammino della storia del ventesimo secolo al quale proprio la Grande guerra impresse una svolta decisiva.


Fabio Todero